Ormai da qualche settimana, quello di Dario De Martino è uno dei ruoli centrali di Un posto al sole e dunque ne abbiamo approfittato per incontrare colui che dà il volto a questo ruolo così inquietante, ovvero l’attore Francesco Wolf. Ecco cosa ci ha raccontato.
Benvenuto su Tv Soap, Francesco. Cosa rappresenta Un posto al sole in questa fase della tua carriera?
Entrare nella famiglia di Un Posto al Sole è stata sicuramente un’esperienza molto bella. A livello artistico provengo dal teatro, che ha una visibilità e un rapporto col pubblico diversi. È una bella sensazione vedere che il tuo lavoro piace, anche se, visto il ruolo che ricopro, qualcuno mi detesta! In questo periodo, camminando per strada, mi capita di vedere persone che mi guardano con sospetto. Qualcuno poi timidamente si avvicina e chiede: lei è il “serial killer”?…
Professionalmente la vivo come una bella occasione e spero possa portare nuovi progetti interessanti. Entrare in una macchina produttiva cosi rodata e veloce è stata una sfida per me, riuscire a gestirla e dar vita a Dario è stata una bella soddisfazione.
Cosa pensi del tuo personaggio?
De Martino è cattivello, morboso. Quando ho ricevuto la sceneggiatura sono stato contento del ruolo già dalla prima lettura. Misurarsi con la follia ed il disagio di Dario De Martino non è stato semplice, ma il lato bello del mio lavoro è proprio questo! Ovviamente è un personaggio molto distante da me (come dalla maggior parte delle persone) e proprio per questo è stato divertente prenderne le vesti.
Che aria si respira sul set di UPAS?
Ho avuto la possibilità di lavorare con figure di grandissima professionalità, dai registi, ai direttori della fotografia a tutte le maestranze coinvolte. L’atmosfera sul set di Un Posto al Sole è davvero una delle più piacevoli che abbia incontrato da quando lavoro. Logicamente, poiché tutto avviene con grande velocità, i momenti di tensione sono inevitabili, ma vengono sempre risolti con energia e professionalità da tutti. Quando lavori con persone che condividono la tua stessa passione si crea una sinergia incredibile. Una cosa che sorprende è vedere quanta passione e voglia di creare belle scene questi professionisti abbiano dopo venti anni che la serie esiste. L’allegria e il dinamismo sono costanti nonostante le scene legate al mio personaggio siano tendenzialmente “dark”. Col direttore della fotografia, ad esempio, c’è stato un rapporto molto stretto e complice. Più io mi divertivo a giocare con le luci e le suggestioni che creava, più lui si divertiva a crearne di nuove. Quando si lavora in squadra, l’energia diventa un volano: basta che uno inizi a metterla in gioco perché si porti dietro tutta la squadra.
C’è un collega con il quale hai maggiormente legato?
Sì, Clotilde Sabatino. Stranamente proprio con colei che “mi dà la caccia”. Ho avuto diversi scambi con lei sempre belli e costruttivi. Sicuramente anche con Marco Mazzanti, Paolo Romano e Marina Giulia Cavalli c’è stato un bel confronto e un gran piacere nel lavorare insieme.
Guardando da fuori Un posto al sole, secondo te, quali sono i punti di forza di questa soap?
Un grande punto di forza è sicuramente l’amore che il pubblico ha nei confronti di Upas: molte persone trovano nella soap un appuntamento fisso giornaliero. Quando ho cominciato a lavorare mi chiedevo quali sarebbero state le reazioni all’entrata in scena di Dario, essendo un personaggio negativo. Entrare nel racconto come antagonista di coloro che occupano un posto nel cuore del pubblico mi metteva in una posizione intrigante. A giudicare dalle reazioni sui social sono contento del lavoro che abbiamo fatto!
Al successo di Un posto al sole, secondo me, contribuisce molto anche la capacità che ha questa fiction di essere sempre al passo col tempo, di seguire il quotidiano: il giorno di Natale nella realtà è Natale anche nella storia, Pasqua è Pasqua e via dicendo. C’è una forte aderenza tra realtà e piano della finzione.
Altro elemento di forza sono senz’altro le persone che sono dietro le quinte, la produzione, le costumiste, gli attrezzisti, ecc. Tutti quelli che partecipano alla realizzazione sono totalmente coinvolti nel progetto e appassionati. La percepisci questa cosa sul set.
Nel tuo passato ci sono esperienze sia in campo teatrale che cinematografico. Quale realtà preferisci?
Io vengo dal teatro. Ho studiato e cominciato col teatro, e tuttora lo faccio. A teatro c’è la magia del rapporto col pubblico, ed è un’esperienza che si rinnova ogni sera, ad ogni replica. Da qualche anno ho iniziato a lavorare davanti alla macchina da presa ed ho continuato gli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia per avanzare in quel senso la mia formazione, perché, come si dice, non si finisce mai di studiare. Lo strumento macchina da presa ti permette di lavorare sui piccoli dettagli e su sfumature che a teatro devi ovviamente rendere in modo diverso.
In definitiva non potrei fare a meno del teatro, è una linfa vitale che ti riporta ad una sincerità con te stesso. Allo stesso tempo sono follemente innamorato del cinema in cui devi essere consapevole che sei parte di un meccanismo molto ampio. Sono due sensazioni diverse, senza le quali non potrei stare. Sia al cinema che a teatro è comunque fondamentale essere onesti al 100%.
Quali sono secondo te le doti che un attore deve assolutamente avere?
Sicuramente deve avere la capacità di osservare ed ascoltare. Prima di riuscire a fare qualcosa, devi avere la capacità di vedere la realtà che ti sta intorno o capire quello che il testo o il regista vuole che tu renda, e trovare la tua chiave per dare il tuo valore aggiunto all’interpretazione ed allo spettacolo. Anche lì, lo studio è fondamentale. La tecnica va acquisita, perché sicuramente il talento è importante ma, senza la consapevolezza di cosa stai facendo, rischia di disperdersi.
Conoscere come lavorare con la macchina da presa, le differenze tra le diverse ottiche… è fondamentale! Sia al cinema, in televisione che a teatro è fondamentale avere il controllo del corpo, della voce e dell’espressività. A questo poi va aggiunta la capacità di emozionarsi. Al cinema la difficoltà è ripetere l’emozione ogni qual volta sei a girare una scena.
Cosa invece un attore non dovrebbe avere?
Penso la presunzione, un difetto che ti porta a perdere la capacità di ascoltare. È un confine sottile l’esser sicuri di se stessi e peccare di presunzione. È un equilibrio su cui bisogna sempre giocare. In quanto interprete, devi essere sicuro di ciò che fai e saper portare una proposta precisa ma questo non deve trasformarsi in un non sapere ascoltare e collaborare, altrimenti ti rinchiudi in una bolla e lavori ma così non vai molto lontano.
Inoltre devi anche essere pronto ad accettare il cambiamento e a mettere in gioco la tua proposta, perché unire la tua sensibilità a quella di chi lavora insieme a te può farti volare ancora più in alto nella strada verso il personaggio.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Prossimamente dovrò girare una fiction a Venezia però non diciamo nulla per scaramanzia. Sicuramente in autunno sarò sul palco con uno spettacolo prodotto dal Teatro Stabile del Veneto in un progetto che si chiama “Massa critica”, del regista Giorgio Sangati.
In questi giorni, poi, sono al cinema con un film, “Venezia Impossibile” di William Carrer, che ho finito di girare un paio d’anni fa.
Infine, ma assolutamente non per ultimo, con altri tre soci ho una società di produzione e postproduzione audio e video, la M.I.L.K., che è un aggregatore di idee ed energie da cui partono numerosi progetti. Prossimamente saremo al famoso “JazzIt Fest”, organizzato da Jazz.it e forse ci sarà uno spettacolo organizzato per l’evento.
Ringraziamo Francesco Wolf per la sua disponibilità e vi invitiamo a continuare a seguire ogni sera la storyline del serial killer a Un posto al sole.
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