È uno dei volti storici di Un Posto al Sole, grazie al personaggio di Renato Poggi che porta in scena fin dalla prima puntata della soap partenopea di Rai 3. Parliamo dell’attore Marzio Honorato, che ultimamente si sta dedicando anche ad altri progetti, proprio come ci ha raccontato in questa intervista.
Un Posto al Sole, intervista a Marzio Honorato (Renato Poggi)
Salve Marzio, bentornato su Tv Soap. Partiamo da Un Posto al Sole. Cosa pensa delle ultime vicende che hanno visto coinvolto Renato?
Renato è in pensione; si dedica molto alla famiglia e ai suoi problemi, con le ansie che può avere un genitore più anziano. Ha a che fare con i nipotini. Mi piace tantissimo girare con loro perché li ritengo estremamente bravi e carini. Gli sceneggiatori, non a caso, puntano molto sulle nuove generazioni.
Renato si districa tra loro e le scene comiche, fatte di dispetti, con il portiere Raffaele, interpretato dall’amico mio Patrizio Rispo. Aspetto quello che scrivono, vado lì e mi metto a lavorare.
In quest’ultimo anno, Renato è stato anche vicino al figlio Niko (Luca Turco) per via della tragedia occorsa a Susanna (Agnese Lorenzini). Immagino che quelle scene siano state molto intense da girare…
Sicuramente, ma quello dell’attore è anche un mestiere dove ci sono delle tecniche che, ormai, noi conosciamo a memoria. Quello che può sembrare difficile, per noi magari non lo è. Fa parte del nostro mestiere.
Ha un desiderio o una storia che vorrebbe raccontare attraverso il personaggio di Renato? Ha mai pensato a questa cosa?
No, non ci ho mai pensato perché Renato ha fatto quello che, di solito, nella realtà un uomo come lui può fare. Ha fatto tutto un percorso particolare. Ne ha passate di tutti i colori e in questo momento non riesco proprio ad immaginare che cos’altro possa succedergli. Mi attengo a quello che scrivono gli sceneggiatori. Lascio fare a ognuno il suo mestiere. Non dico a loro cosa mi piacerebbe fare.
Sicuramente, rispetto alle scene drammatiche, preferisco le scene umoristiche e ironiche di Renato, perché fa parte della mia scuola Eduardiana. Mi diverto di più, ma va bene tutto.
Si aspettava, quando ha iniziato a girare, che l’esperienza nella soap sarebbe durata così tanto?
No. Fu una scommessa di Minoli con il centro Rai. Il nostro contratto iniziale era di tre mesi, che poi è stato prolungato a sei mesi fino ad arrivare ad un anno e così via. E, alla fine, siamo arrivati al 2023. Il pubblico ci ha sempre premiati, ci è rimasto affezionato. Abbiamo uno zoccolo duro di due milioni e mezzo / tre milioni di persone che ci fermano quando ci incontrano per strada, ben felici.
Un Posto al Sole è certamente un programma di grande successo, che viene seguito anche all’estero tramite Rai Italia. È capitato anche che ci scrivessero dal Vietnam. Siamo felici del fatto che le nostre tracce arrivino in tutto il mondo.
Spaziando al di là della soap, di recente è uscito il film Tempi Supplementari, che ha coprodotto con la Maxima Film, casa di produzione che condivide con Germano Bellavia…
Tempi Supplementari, come il titolo suggerisce, parla di come ciascuno di noi, ad un certo punto, può avere l’occasione di cambiare e rifarsi una vita, soprattutto se quella vissuta in precedenza non gli è piaciuta o, per qualsiasi motivo, non è andata bene. È un film tutto da scoprire ed è l’opera prima di Corrado Ardone; l’ha sceneggiato e diretto.
È una pellicola molto interessante, che ha avuto tra l’altro la qualifica di film d’essai. Io, oltre alla produzione, faccio una piccola apparizione sul finale.
Tra l’altro non è il primo film che produce con la Maxima, giusto?
Esattamente. C’è già un film, disponibile su Prime Video, che si intitola Dove si ferma il tempo. È stato diretto da Vincenzo Pirozzi ed è ambientato in un carcere minorile, cosa che dà modo di spaziare sul campo del sociale, esattamente come fa Tempi Supplementari di Ardone.
Da poco abbiamo inoltre terminato il montaggio di un film, diretto sempre da Pirozzi, che si intitola Il peso esatto del vuoto. Un progetto che ha visto coinvolti molti attori napoletani perché il nostro scopo è in primis quello di offrire lavoro alle maestranze tecniche e artistiche della nostra regione.
Ha sempre sognato di raccontare le storie pensate da lei o si è appassionato alla produzione in un secondo momento della sua carriera?
Il discorso della produzione nasce moltissimi anni fa. Prima della Maxima Film, che è una società mia e di Germano Bellavia, avevo una cooperativa che faceva cinema, con la quale ho fatto un film che fu anche premiato a Venezia. Quella della produzione è quindi una passione che mi porto dietro da un po’ di tempo. Quando avevo composto la cooperativa, tutti avevano delle società che si occupavano di teatro, perché a Napoli era molto in voga. Andai quindi controcorrente e, alla fine degli anni ’90, creai questa cooperativa per essere controcorrente a quella che era solitamente la costituzione di società che si occupavano di spettacolo. Mentre tutti facevano teatro, io ho deciso di prendere la strada del cinema. Erano tempo in cui a Napoli non è che si girava tantissimo. Non era sicuramente come ora, che Napoli è diventata un set per tantissime produzioni. E ho sempre tenuto in mente il discorso sociale, per far lavorare le persone del nostro territorio.
Immagino che al giorno d’oggi non sia facile produrre dei film…
No, specialmente per le uscite. I cinema e le sale stanno chiudendo. Nascono supermercati e altre attività. In sala ci arrivano le pellicole americane o i dieci o quindici nomi di richiamo, pur bravissimi. La realtà, che non possiamo cambiare, è che spesso tutti gli altri nomi vengono deviati sulle piattaforme. E si sa che, nella visione, lo schermo del cinema è tutt’altra storia rispetto a quello televisivo. La realtà è questa, a meno che uno non abbia fortuna nel fare un film con un boom tale da interessare anche le sale cinematografiche.
Le piccole e medie produzioni hanno sicuramente risentito anche dell’avvento del Covid, no?
Noi della Maxima abbiamo vissuto il Covid con la produzione dell’ultimo film. Abbiamo avuto molti problemi, ci siamo dovuti fermare e riprendere. La pandemia non ha aiutato anche perché la gente si è quasi disabituata ad uscire per andare a vedere un prodotto che sa di poter visionare comunque, tre o quattro mesi dopo, in televisione.
Con la collaborazione di Sante Cossentino per MassMedia Comunicazione Seguici su Instagram.