Proseguiamo la serie di interviste agli attori di Un posto al sole incontrando Raffaele Imparato, che ormai da qualche anno fa parte del guest cast della soap e presta il volto al personaggio di Ugo Alvini De Carolis.
Tra l’altro il ruolo di Ugo sta tornando in primo piano proprio in questi giorni e dunque… quale miglior occasione per fare quattro chiacchiere con il suo interprete?
Raffaele Imparato è Ugo Alvini De Carolis. Come nasce l’opportunità di recitare in Un Posto al Sole?
Autunno 2008. Avevo 15 anni. Ero iscritto presso un’agenzia di Roma, la quale mi chiama per un provino in Rai per “Sette vite”, la sit-com in cui Luca Seta era protagonista; al provino, dopo il primo call-back, arrivammo in “finale” io e Antonio Agerola.
Per intenderci, Antonio è il meraviglioso interprete di Ludwig, amico emo di Rossellina, con il quale poi ho intrapreso tutto il triennio presso il Laboratorio Permanente del Teatro Elicantropo, diretto da Carlo Cerciello (e verso cui tutt’oggi nutro una stima immensa, come attore e come persona). Quel giorno però non ci conoscevamo ancora ma io già lo stimavo e “temevo” perché lo avevo visto da spettatore in uno spettacolo al Maschio Angioino diretto da Nello Mascia; lui era già un professionista della scena mentre io avevo alle mie spalle solo esperienze di teatro amatoriale. Quel giorno, in cui ci contendevamo lo stesso personaggio, scelsero giustamente lui, giustamente perché io ero ancora completamente smarrito in quel contesto di “esame” mentre lui aveva tutt’altra disinvoltura con il casting director, era molto reattivo nel tradurre le sue consegne e immediatamente restituì una padronanza disarmante in quel ruolo.
Nonostante questa “bocciatura”, il mio provino è rimasto negli archivi della Rai per circa quattro anni ed eccomi qui. “Un posto al sole” cercava un attore che potesse interpretare un personaggio antitetico a Genny e quindi preciso, bassino, impacciato e secchione e mi richiamarono per il provino. Purtroppo o per fortuna l’immagine in questo mestiere è fondamentale ma, se inizialmente il mio personaggio era stato scritto per una manciata di scene (destinate ad esaurirsi nell’arco di un paio di settimane) ed ora invece siamo nel pieno del terzo anno, è perché forse, al di là della mia statura fisica, ha influito la mia “statura” come interprete, deduco alquanto presuntuosamente.
Seguivi la soap prima di farne parte?
Da piccolino di più perché vivevamo con i nonni: lì si cena prima ed è tutt’oggi un rituale; invece crescendo, oltre al cambio di casa, gli impegni e gli interessi mi hanno portato a vederlo sporadicamente, quando mi capita di trovarmi in cucina o quando una scena o un’interpretazione colpiscono particolarmente la mia attenzione. Ovviamente non guardo le scene in cui si parla di Ugo o in cui c’è mio padre e non c’è Ugo, perché questo mi aiuta a isolare il suo punto di vista. Le “mie“ scene le guardo perché sono un’ opportunità per “supervisionare” il lavoro e cercare di colmare le lacune per il futuro.
Cosa pensi del tuo personaggio?
Ugo è un bravo ragazzo. Un ragazzo che è stato congelato per dieci anni. Il freezer in questione è stato lo studio. Ora, con la palestra, è come se sentisse la spinta di voler recuperare tutto il tempo perduto in adolescenza con le ragazze, col bullismo, con l’instaurare rapporti di amicizia. Quindi alcune sue scelte, alcune insicurezze, alcune esitazioni e reazioni sono da contestualizzare a un ragazzo che è figlio unico, senza mamma, con un papà molto presente da un punto di vista materiale e di protezione; nonostante tutto Ugo vuole bene a suo padre e riesce ad essere un ragazzo allegro, che ha in sé il semino della giustizia e della fratellanza; i rapporti affettivi pian piano innaffiano questo semino e quindi, oltre alla fantozziana timidezza e alla goffa autodifesa dalla prepotenza, inizia a fare capolino la personalità e la maturità di un ragazzo destinato a diventare un uomo pulito, con una posizione chiara e ferma di ciò che va coltivato e di ciò che va combattuto.
Da chi, degli attori storici, cerchi di “rubare” i trucchi del mestiere?
Mi piace molto la semplicità e la disponibilità di molti attori storici ma toglierei dei meriti agli altri, facendo nomi. Purtroppo c’è poco tempo per provare e quindi anche per rubare; inevitabilmente dagli storici s’impara sicuramente l’instancabilità e la lucidità tecnica, rispetto ad esempio alla macchine da presa, alla velocità nel ragionare con spirito critico alla prossemica della scena assieme al regista, innanzitutto. I punti di riferimento li scelgo a teatro, nelle sit-com, nel cinema, nella vita a seconda, di volta in volta, degli obiettivi comunicativi che mi prefiggo.
C’è un collega al quale sei particolarmente legato?
La semplicità di Luca Turco, Miriam Candurro e Antonella Prisco lascia senza parole, anche se con quest’ultima non ho mai girato. “Giulia Poggi” è proprio una mamma ma sono tutti molto cordiali con me. Purtroppo, ripeto, c’è poco tempo per conoscersi ed io ho il limite di dover stare concentrato sulle scene per tentare di essere efficace, e questo lo paghi in termini di relazioni al di fuori dei ciak. Ma io devo dare la priorità al contratto, al personaggio e alla responsabilità che ho verso lo spettatore.
Come è nata la passione per lo spettacolo?
Sono salito per la prima volta su un palco in terza elementare con i compagni di scuola e del cortile della parrocchia, proprio nel teatrino parrocchiale a Calvizzano che tutt’ora rappresenta una fonte di solidarietà per la Caritas attraverso “i biglietti”, ovviamente.
Si trattava di uno spettacolino che metteva assieme una serie di barzellette drammatizzate in scenette. Ricordo che facevo due “personaggi” in due barzellette diverse, in una avevo tipo una sola battuta come rappresentante della F.A.O., mentre nell’altra ero un tecnico-audio che aggiustava un microfono ma non c’era il microfono.. Poi lentamente mi hanno dato fiducia e responsabilità crescenti e ne conseguivano gratificazioni, adrenalina, appagamento ma anche tanta tanta tachicardia, che tra l’altro mi assale tutt’ora fino alla terza replica.
Negli anni è cambiato l’approccio ai registi e ai compagni, il “metodo”, la cura nella costruzione, la lucidità, la prontezza all’imprevisto e soprattutto la consapevolezza della funzione simbolico-sociale che ho come attore. Le avvisaglie sibilline le ho avute, però, più da spettatore che da attore, perché desideravo fortemente di riuscire, un giorno, ad essere io responsabile negli altri di quelle emozioni che, magari, anche solo un semplice cartone animato riusciva a generare in me. Non era invidia ma desideravo troppo farlo e provo la stessa “spinta” oggi quando vedo un spettacolo o un film di grande qualità. Ho mantenuto il divertimento nell’avanzare proposte di personaggio, giocare con la finzione, nel travestirmi e nel racimolare proprio, l’occorrente per preparare i travestimenti.
Cosa fai nel tempo libero?
Innanzitutto cerco di farmi qualche ora di sonno e magari pranzo. Poi, se avanza tempo, leggo, anche magari libri che ho in arretrato da anni e che fortunosamente poi ritengo utili al momento giusto; vado a teatro, mi alleno perché se mi sento in forma anche l’umore ne risente, vedo cinema, telefilm, le partite del Napoli quando non devo lavorare, sto con gli amici (attori e non attori). Inoltre ascolto musica, spesso nuova perché sono ancora vergognosamente ignorante (in tutto ma soprattutto per la musica); ascolto per curiosità, poi però scelgo ma dipende anche molto da come sto, vado a periodi. In generale, però, il commerciale italiano e napoletano, oppure l’hard-rock “hard hard”, non m’interessano particolarmente.
Apriamo il cassetto. Con chi sogni di lavorare?
Un sogno si è realizzato con “Il cielo di Palestina”: ovvero vivere la scena accanto di Imma Villa. Poi magari con Pier Francesco Favino al cinema, Isa Danieli e Glauco Mauri a teatro e Castellitto in tv. Ma se capita viceversa, mi accontento lo stesso. Ovviamente è una forzatura questa risposta perché sogno di lavorare anche con tanti attori più vicini a me da un punto di vista generazionale e geografico, come Lino Musella, Orlando Cinque e Peppino Mazzotta.
Come è Raffaele fuori dal set?
Mah, diciamo che mi piace imparare, osservare, ascoltare, agire al fine di essere fiero di me stesso e circondarmi di persone con la quali è presente stima, sincerità e rispetto reciproci. Se c’è quello, allora do il meglio di me…,ma proprio mi sbizzarrisco!
Progetti futuri?
Continuare a fare tutto quello che faccio ma con sempre maggiore qualità e quindi maggior tempo da poterci dedicare. Sono all’ultimo anno di logopedia con tutto quello che comporta in termini di studio e tirocinio; il Teatro Elicantropo, diretto da Carlo Cerciello, mi da l’opportunità di seguire gli allievi per una maggiore consapevolezza e padronanza respiratoria, vocale e articolatoria nel recitato e per me è una grandissima gioia, essendo stato io stesso un allievo di questa scuola. Con il mio amico, il regista emergente Nello Mallardo conduco uno studio sperimentale presso il Centro di Riabilitazione A. Buonincontro diretto dal Dott. N. Angelillo in cui usiamo il Teatro come pretesto per potenziare le competenze affettivo-relazionali, al fine di rendere il gruppo d’intervento più adeguato nell’interazione sociale, per un domani in cui il centro non potrà più prendersene cura.
Come attore ho incominciato una collaborazione con Stefano Incerti ma è tutto in una fase molto embrionale. Attualmente sono in scena con “Il Cielo di Palestina” (progetto e regia di Carlo Cerciello) ancora per dieci repliche, con la partecipazione di Imma Villa, in cui poniamo l’attenzione sulla condizione e la resistenza di un popolo che non conta niente sullo scacchiere geo-politico mondiale: un urlo di amore e di rabbia per chi fa orecchie da mercante o chi ha dimenticato o chi semplicemente non sa. Poi il 19-20-21 febbraio riprendiamo a Napoli “Gang-Bang”, uno spettacolo diretto da F. Pisano e tratto dal romanzo di C. Palahniuk, in cui mostriamo quanto il “sesso” sia la dimensione per eccellenza nella quale emerge la vera indole di un essere umano. E sempre a Napoli, ma la settimana successiva, ritorna “Sonata irregolare per anime inquiete”, diretto da M. Tieri, in cui prendiamo a pretesto la figura di Mozart e Salieri per mostrare le conseguenze dell’ossessione per il talento altrui e per la lussuria.
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