Quando si pensa a Un Posto al Sole, è impossibile non ricordarsi di Renato Poggi, lo storico personaggio interpretato dal grande Marzio Honorato. Da sempre al centro della scena, l’attore ha dato via a diverse sfaccettature dell’uomo, uno dei punti di riferimento di Palazzo Palladini. Noi di Tv Soap abbiamo incontrato Marzio per fargli qualche domanda sulla sua esperienza nella soap, segnata negli ultimi mesi anche dall’avvento del Coronavirus. Ecco cosa ci ha detto.
Un Posto al Sole, intervista a Marzio Honorato (Renato Poggi)
Salve Marzio, benvenuto su Tv Soap. Lei è uno dei volti storici di UPAS. Immagino che non vi aspettavate, quando avete iniziato a girare, che la soap sarebbe durata così a lungo?
No. In realtà penso proprio che non se lo aspettasse nessuno, neanche la produzione e né tanto meno la Rai. Personalmente, ho voluto fortemente iniziare questa avventura per provare quella che doveva essere una lunga serialità. Un metodo di lavoro, per me, completamente diverso. Mi ha fatto piacere avere un ruolo dall’inizio. Ma mai mi sarei aspettato, che nel mentre, mi sarebbero cresciuti i capelli bianchi.
Nel corso degli anni abbiamo visto tante sfaccettature di Renato Poggi, il personaggio che interpreta. Cosa le piace di lui?
Devo dire che Renato è un personaggio che, al di là di quello che hanno scritto e che ancora scrivono gli sceneggiatori, ho adattato un pochino a quello che penso siano le mie caratteristiche di attore. È un personaggio un po’ a tutto tondo, che ne ha passate di tutti i colori, con un carattere che si è lasciato passare tutto. Ha un carattere che tende a ironizzare sulle cose, specialmente con Raffaele (Patrizio Rispo) e con i personaggi con i quali lavoro di più.
Ho cercato sempre di metterlo in riga, trovando un equilibrio nella scrittura degli sceneggiatori, in modo di avere una barra abbastanza dritta su quello che penso sia la migliore interpretazione di un personaggio del genere. Senza mai esagerare né da una parte e né da un’altra. Principalmente, non essendo mai volgare. Perché il pericolo di fare le cose a Napoli è un po’ sempre quello di scadere sulla volgarità e sul solito teatrino da bordata.
Dal suo punto di vista, quali sono state le trame più significative che hanno coinvolto Renato?
A livello di trama non ce n’è una più significativa. Personalmente, dedico la stessa attenzione a qualsiasi tipo di cosa che gli possa accadere: dalla più stupida alla più importante. Ci sono stati dei momenti molto drammatici: quando hanno rapito Angela (Claudia Ruffo), la separazione da Giulia (Marina Tagliaferri), la crescita di Niko (Luca Turco), i problemi dei figli. Le trame sono costruite dagli sceneggiatori cercando di non ripetersi sullo stesso personaggio.
Noi facciamo gli attori: c’è una sorta di freddezza di recitazione che va avanti, al di là delle storie che ci scrivono. Da parte nostra, c’è una razionalità di racconto. Siamo al servizio del personaggio, quindi cerchiamo sempre di non far trasparire la nostra preferenza su una trama piuttosto che su un’altra. Per lo meno, io affronto la cosa in tale maniera. Poi è giusto che ciascuno di noi affronti il suo lavoro come ritiene più opportuno, trovando le sue chiavi, che ovviamente non sono tutte uguali.
Le svelo, ad esempio, che io non voglio sapere quello che succede dopo al mio personaggio. Non ho mai letto dove Renato sarebbe andato a parare. Mi leggo le scene giorno per giorno e le faccio. Quella sorpresa giornaliera, che fa parte dell’imprevedibilità della vita, compresa quella del Poggi.
A proposito di imprevedibilità della vita: l’anno scorso, quando c’è stato il lockdown, vi siete dovuti fermare con le riprese per qualche mese. Com’è stato adattarsi a queste nuove disposizioni?
Sì, per un periodo abbiamo interrotto le riprese. In seguito, abbiamo ripreso. Naturalmente, ci sono stati molti cambiamenti. Abbiamo dovuto adattarci a protocolli precisi. Tutt’oggi, se in una scena ci sono cinque personaggi in scena non possiamo stare tutti insieme. È previsto un massimo di tre persone. Le riprese vengono quindi adattate. Anche se sembra che ci diciamo le parole tra noi cinque, in realtà, le stiamo dicendo a parte. Tre persone recitano insieme, gli altri due poi entrano e interagiscono come se parlassero con i primi.
Ci siamo adattati ad un metodo più razionale e freddo, che probabilmente ci ha fatto perdere un po’ di verità. Il mondo che stiamo vivendo è però questo. Dobbiamo rispettare le distanze, di almeno un metro. Siamo stati un po’ limitati nelle cose che facevamo. Non possiamo avere il trucco e i parrucchieri nello studio. È tutto più complicato. Dobbiamo essere maggiormente autosufficienti rispetto a prima, ma andiamo avanti lo stesso. Il pubblico probabilmente ha capito le nostre difficoltà, ma le ha accettate.
Cos’è che ha reso Un Posto al Sole un successo per quasi 25 anni?
Il pubblico è sicuramente molto affezionato a noi. Ci sono persone che ci seguono fin dalla prima puntata e sono curiose di capire come vanno a finire le storie dei personaggi, come crescono i bambini, come invecchiano gli adulti. Nel corso del tempo, gli sceneggiatori sono stati sicuramente bravi a costruire tutti i personaggi. I telespettatori ci seguono, ci vogliono bene. Questo ha fatto sì che Un Posto al Sole fosse un successo che è durato negli anni.
Con la collaborazione di Sante Cossentino per MassMedia Comunicazione
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