È il produttore creativo de Il Paradiso delle Signore fin da quando la fiction daily di Rai 1 con protagonista Alessandro Tersigni andava in onda in prime time. Parliamo di Giannandrea Pecorelli, che conosce alla perfezione tutte le storie ambientate al grande magazzino milanese. Noi di Tv Soap lo abbiamo incontrato al Gala del cinema e della fiction di Castellammare di Stabia e gli abbiamo rivolto qualche domanda sui segreti della soap. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Il Paradiso delle Signore: Tv Soap intervista Giannandrea Pecorelli
Salve signor Pecorelli, benvenuto su Tv Soap. Il Paradiso delle Signore è partito dall’11% ed è arrivato fino al 22% di share. Qual è il segreto del successo della fiction e quanto lavoro c’è dietro?
Il lavoro è tantissimo, perché chiaramente copriamo tutti i livelli del lavoro di una produzione in tempi davvero molto stretti. Abbiamo quasi 200 persone che lavorano a tempo pieno: dall’ideazione alla scrittura, fino alla costruzione. Diciamo che abbiamo un circuito completo per quanto riguarda questo, con dei tempi che potrebbero essere proibitivi. Abbiamo fatto una scommessa per poterlo fare, puntando alla qualità del prodotto.
Se qualcuno racconta anche a dei colleghi il tipo di attività che noi svolgiamo, con i tempi che abbiamo, pensa sicuramente che stiamo lavorando sotto qualità. Visto che prima del Paradiso ho sempre lavorato per il prime time e per il cinema, la cosa più importante per me era avere un prodotto che avesse una fruibilità 24 ore su 24.
Il Paradiso delle Signore nasce per essere visto su una piattaforma, in replica. Abbiamo un primo passaggio pomeridiano, con un risultato molto alto in share e con due milioni di telespettatori, ma ogni giorno, grazie al web, raddoppiamo quasi ogni giorno quello share. Abbiamo un bacino di utenti web fissi, che ci portano a quasi quattro milioni di spettatori.
Negli ultimi anni c’è stato l’avvento delle soap spagnole. Ha strizzato un po’ l’occhio a quelle appena le è stato chiesto di dare inizio al progetto daily della fiction?
Dato che non mi ero mai adoperato per una produzione del genere, sono stato tre giorni sui set de Il Segreto e di Una Vita. Ho cercato di capire, quindi, quali fossero i loro segreti. Sono andato alla Boomerang di Madrid, attraverso dei rapporti con la stessa Rai Fiction, e ho subito carpito determinate situazioni. Sono abbastanza anziano per questo tipo di lavoro e, probabilmente, sono uno dei primissimi ad aver fatto serialità in Italia anche come dirigente Rai.
Conosco abbastanza bene i modelli produttivi del prime time. Ho guardato, ho studiato com’erano i modelli produttivi di un daytime che non era solo soap, ma anche mediato con la telenovela. Era sicuramente un team di produzione e di scrittura più simile alla telenovela. In più, tutto il mio gruppo di lavoro, che comprende direttori della fotografia e registi che lavorano regolarmente anche in prime time, ha unito le forze con chi, come Daniele Carnacina, si era mosso tantissimo in daytime. Ognuno ha carpito dall’altro aspetti fondamentali, cercando poi di rubare elementi ai chi aveva già esperienza nel campo, come appunto la Spagna.
Ad esempio, a Il Segreto e Una Vita hanno gli interni costruiti in teatro, noi invece abbiamo gli esterni veri. Questo vuol dire avere una maggiore qualità, ma anche maggiore difficoltà. Se in un teatro facciamo 20/22 minuti, quando andiamo in esterna ne facciamo 13/14. In Spagna lavorano poi con una parete in meno nelle scene, nel senso che la macchina da presa ha un’inquadratura che non ha una spalla. È come se ci fosse un solo punto di vista, mentre noi abbiamo tutte le costruzioni con le quattro pareti, come se fosse cinema o prime time.
Un continuo “campo contro campo” di cui il telespettatore si accorge anche senza saperlo. Si rende conto del fatto che è una produzione che potrebbe essere anche di prime time.
Insieme ad Alessandro Tersigni, lei è il filo conduttore tra prime time e daytime della fiction. Che cosa dobbiamo aspettarci in futuro dalla narrazione?
Viviamo un po’ alla giornata. Chiaramente, gli autori parlano della linee generali ad inizio stagione e di volta in volta, di settimana in settimana, scrivono le sceneggiature. Molto dipende anche da come gli attori funzionano o non funzionano.
Spesso dobbiamo poi parlare con gli attori, per capire chi vuole restare e chi no. Leggo sui social: “Perché gli autori hanno mandato via un attore?”. La maggior parte delle volte, invece, sono dinamiche che sfuggono, perché magari qualcuno riceve altre offerte di lavoro, altri soffrono un po’ di stanchezza.
In anni di lavoro abbiamo avuto un centinaio di attori anche per piccoli ruoli e siamo stati sempre soddisfatti. Anche per chi deve dire poche battute cerchiamo degli attori, anche se sconosciuti, che sappiano integrarsi bene. Durante la pandemia, con tutti i controlli sanitari che abbiamo dovuto mettere in atto, ricevevo messaggi dai generici, come i clienti tradizionali del Paradiso. Mi scrivevano che era un peccato non poter stare sul set perché si trovavano bene e c’era armonia. Perché trattiamo anche loro come se fossero dei protagonisti. Si è venuto a creare un microcosmo.
Quando ad Alessandro Tersigni è stato proposto di passare al prime time al daytime, cosa che è stata una mia idea, lui si è fidato, perché poteva anche risultare un buco nell’acqua. E mi sento di dire che abbiamo vinto questa scommessa.
Attualmente sta girando le nuove puntate di Cuori, dove ci saranno come new entry Paolo Conticini e Alessandro Tersigni. Cosa dobbiamo aspettarci dalla seconda stagione?
Cuori ha preso il via quando, in Rai, si è ventilata l’idea di girare una serie a Torino con il centro di produzione della città. Personalmente, mi è venuto in mente di fare qualcosa legato all’Università di Medicina, perché Le Molinette, dove è girata la storia di Cuori, è un’eccellenza sia nella parte ospedaliera, sia in quella dell’università e della ricerca.
Benedetta Fabbri, che cura il reparto editoriale di Aurora, ha approvato questa storia. Sono uno di quelli che si ricorda perfettamente di Christiaan Barnard e del primo trapianto di cuore che ha eseguito. Perché emotivamente, per chi è nato tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, è esattamente un gradino appena sotto lo sbarco sulla luna. Perché entrambe erano due notizie sconvolgenti.
Le manca il cinema?
L’ultimo primo che ho fatto per il cinema è Arrivano i Prof con Rocco Hunt e Claudio Bisio. Durante la pandemia e questi anni successivi non ho voluto sviluppare cortometraggi perché trovo che ci sia un momento confuso. Amo molto la sala, mi piace sfidarla con prodotti outsider come Notte Prima degli Esami.
Con la collaborazione di Sante Cossentino per MassMedia Comunicazione