Un posto al sole: Alessandro Gruttadauria interpreta Giovanni, il compagno di Katia
È l’ultimo arrivato a Un Posto al Sole. Parliamo di Giovanni, il compagno di Katia (Stefania De Francesco), interpretato dall’attore Alessandro Gruttadauria. Un personaggio del tutto inedito che inevitabilmente porterà un po’ di scompiglio anche nelle vite di Franco Boschi (Peppe Zarbo) e del “figliastro” Nunzio (Vladimir Randazzo).
Ma quali caratteristiche avrà questo nuovo personaggio? Noi di TvSoap ne abbiamo parlato proprio con Alessandro Gruttadauria. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Un Posto al Sole: intervista a Alessandro Gruttadauria (Giovanni)
Ciao Alessandro, entri nel cast di Un posto al sole con il ruolo di Giovanni, il compagno di Katia. Che tipo è?
Penso che sia un uomo tradizionale per quanto riguarda l’affetto. È una persona legata ai principi dell’unione e, essendo del sud, è sicuramente passionale e geloso. Non a caso, questa gelosia lo porta a essere un po’ pesante. E la sua pesantezza viene percepita come se fosse un vero e proprio stalker nei confronti della sua compagna.
Questo, inevitabilmente, porterà ad una serie di scontri con Katia, che è la sua compagna. O forse ex. Non ho ancora capito che cosa sono. Se si sono lasciati oppure se il tutto, magari, non è stato ancora ufficializzato, motivo per cui sente rabbia, delusione o sconfitta per la relazione terminata. Non lo definirei aggressivo, ma è senz’altro arrabbiato.
La sua gelosia può dipendere anche dal fatto che Katia sia tornata a Napoli da Franco, il suo storico ex?
Certo, è geloso per quello. Non accetta proprio che sia tornata a Napoli. Ed è questo che scatena il tutto. Per il resto, non posso ancora anticipare molto su quello che succederà tra Katia e Giovanni e i diversi personaggi con cui interagiranno.
E Giovanni che tipo di rapporto ha con Nunzio, che è sicuramente l’altra faccia della medaglia della sua storia con Katia?
Anche questo è tutto da scoprire. Katia e Nunzio hanno vissuto cinque anni a Milazzo, dove c’era appunto anche Giovanni. Quest’ultimo ha creato un rapporto con Nunzio, che ha accettato per amore di Katia. Per tale ragione, Giovanni giustificherà alcuni suoi atteggiamenti.
Verrà mosso dalla delusione, dalla non chiarezza, dalla mancanza di dialogo. Ad un certo punto, si dispiacerà anche del suo comportamento. Ed avrà un dialogo molto pacato con Franco, al quale spiegherà le sue ragioni.
Come sei entrato a far parte del cast della soap?
Negli anni, avevo fatto diversi provini per UPAS e per la Rai. In quest’ultima occasione, sono stato chiamato direttamente per interpretare Giovanni. Mi sono quindi trovato catapultato nella soap, che è davvero stra-amata dal pubblico. Mi hanno messo subito a mio agio. Inoltre, ho potuto lavorare nuovamente con Peppe Zarbo, con cui 26 anni fa avevo condiviso il set de La Piovra 9, per la regia di Giacomo Battiato.
Ritrovarlo è stato come avere un piccolo supporto in una cosa in cui comunque ero nuovo, dove tutti ci sono sempre stati e si conoscono. Perché quella di UPAS è una famiglia davvero molto amalgamata. E Peppe è una persona veramente piacevole. Mi ha aiutato durante le riprese. È stata un’esperienza veramente positiva. E abbiamo girato a Napoli, che è una città fantastica.
So che vivi a Londra. Immagino che tu abbia fatto un po’ la spola tra l’Inghilterra e Napoli in quest’ultimo periodo…
Un po’? Ho fatto tantissimi salti mortali; sarebbe anche complicato raccontarli. Per la questione Covid, è stato tutto più difficile da gestire. Mi sono avvicinato a Roma, dove ho vissuto per quasi vent’anni, e stavo da alcuni amici in attesa della chiamata della soap. La prima volta che sono arrivato a Napoli sono stato bloccato perché c’era un positivo sul set e dunque sono tornato a Roma, anche se pure lì la moglie di un mio amico è risultata positiva. E dunque ho dovuto lasciare quella sistemazione per evitare di contagiarmi.
E non trovando un altro posto (visto che essendo stato a contatto con dei positivi potevo esserlo anche io a mia volta(, sono salito a Milano, dove vivono i miei. Insomma, è stato abbastanza difficile. E parlo del periodo natalizio, dove alla fine sono stato recluso per non essere contagiato e riuscire così a lavorare. Anche perché, come immaginerai, noi attori non possiamo a stare a casa in malattia, né tanto meno lavorare in smart working.
In passato avevi già preso parte alla soap Vivere. Queste produzioni hanno dei ritmi molto serrati. Si riprendono tantissime scene al giorno e non c’è neanche molto tempo per provare. È stato difficile adattarsi?
In realtà non c’è proprio tempo di provare. Come hai detto, la mia fortuna è stata proprio l’esperienza precedente in Vivere. Qualsiasi attore dovrebbe provare una soap, che è una palestra molto rigida e disciplinare, dove se si ferma una persona allora lo fanno tutti. Anche a Vivere ho avuto l’occasione di lavorare con grandi professionisti.
La soap è una macchina da guerra. Si hanno solo 25 minuti per girare una scena. E non sono nulla perché in essi ci sono le prove tecniche, le luci, la posizione in camera. Devi andare e riuscire a fare buona la prima, perché durante il corso della giornata ne giri 12 esterne e 12 interne a seconda dei blocchi. Spesso la gente che gira in esterna, poi deve correre e scappare in interna.
La mole di lavoro è tanta. Ed essendo a blocchi non giri le scene consecutive. Ti trovi anche a dover avere diversi cambi perché sono situazioni e giornate diverse. È abbastanza complesso, ma ti dà una grande preparazione. Ti devi svegliare in tutto: nell’essere veloce, attento, nel memorizzare battute e dialoghi lunghi. È tosta, ma ti insegna tanto.
Bisogna anche stare concentrati perché le scene non vengono nemmeno registrate in ordine cronologico…
Assolutamente no. Ti faccio un esempio. Tanti anni fa, quando sono andato su un set, nel mio cambio costumi c’era un’ingessatura di un braccio. E non sapevo per quale motivo ce l’avessi. E la mia assistente dell’epoca mi svelò che il mio personaggio veniva coinvolto in un incidente, che non avevo ancora registrato. E anche il regista mi ha dovuto spiegare che tipo di atteggiamento dovessi dare al ruolo. Se era sofferente oppure no.
Lo abbiamo già in parte accennato prima. Come ti sei trovato sul set di UPAS? Sei stato accolto bene?
Assolutamente sì. Sono stati tutti gentilissimi. E questo non è un aspetto scontato. Tuttavia, i colleghi sono stati disponibilissimi. A Un Posto al Sole c’è gente che lavora lì da più di vent’anni. Ho trovato grande entusiasmo, oltre che pazienza e disponibilità. E questa è una cosa buona. Indica un grande livello di professionalità.
Parliamo un po’ di te. Quando hai deciso di fare l’attore?
Quando ero piccolo ho avuto la fortuna di crescere in un cortile animato da tanti bambini della mia età, con cui siamo ancora amici perché abbiamo vissuto insieme tanti giochi. Negli stessi, ognuno di noi impersonava molto spesso un ruolo. A volte mettevamo in scena le barzellette e un rialzo ci faceva da teatrino. E quel gioco mi divertiva tantissimo. Non vedevo l’ora, così come i miei amici, di scendere lì per giocare.
Ed un giorno è successo che ho incontrato una vicina di casa, che lavorava appunto in un teatro di Milano. E disse ai miei genitori che cercavano un bambino della mia età. I miei genitori mi portarono e mi presero proprio per questo spettacolo, Felici e Contenti, dove mi trovai a far parte della compagnia di Garinei e Giovannini. Iniziai così una tournée con loro.
Improvvisamente, mi sono trovato su un palco dove tutti gli adulti giocavano con me e io non dovevo dirigere nessuno, invece di quello che facevo con i miei amici. Mi venivano date le indicazioni e dal mio punto di vista era una roba enorme, fantastica. Era come essere nel Paese dei Balocchi. E questa cosa ha fatto crescere la passione per la recitazione, che ho continuato a fare senza fermarmi mai.
Credo che, partendo da bambino, sia stato tutto un po’ più complicato?
Certo, in tournée dovevo partire con almeno un genitore e una persona che sostituiva le lezioni della scuola. Era un lavoro che non mi permetteva di vedere i miei amici. E questa cosa è durata un anno.
Dopodiché sono riuscito a tornare a scuola nella città in cui vivevo, ma continuavo a fare provini, dove mi sceglievano. E dopo la maturità, con dolore dei miei genitori che avrebbero voluto facessi l’Università, mi sono iscritto a un’Accademia d’Arte Drammatica.
È stata dunque la recitazione a scegliere te?
Diciamo di sì, ma l’ho scelta anch’io perché mi divertiva recitare. Ho detto tra me e me che avrei fatto questo lavoro per tutta la vita e così ho fatto. Nonostante sia un impiego molto difficile e precario. Ci sono anni dove lavori pochissimo e altri dove pensi che non hai concluso nulla. La forza e la passione però sono forti e non ti arrendi, continui.
E quando non lavori, studi e ti applichi perché cerchi di migliorare le tue qualità artistiche. Ti impegni e dici che, prima o poi, qualcosa succederà. E così è. Bisogna avere tanta pazienza!
Con la collaborazione di Sante Cossentino per MassMedia Comunicazione