La storia d’amore tra Armando Ferraris e Agnese Amato sta facendo appassionare il pubblico de Il Paradiso delle Signore, che si chiede se i due, dopo mille peripezie, riusciranno a stare effettivamente insieme. Lo abbiamo chiesto a Pietro Genuardi, l’interprete di Armando, in questa intervista sul nostro Tv Soap. Ecco cosa ci ha dichiarato.
Il paradiso delle signore: Tv Soap intervista PIETRO GENUARDI (Armando Ferraris)
Salve Pietro, partirei da una domanda semplice. Secondo lei quali sono i punti di forza di Armando?
Credo la lealtà, la capacità di capire gli altri e la volontà di prodigarsi per il prossimo. Lealtà in generale. Ha fatto il partigiano, ha dei valori sul welfare, sullo stato sociale molto importanti e radicati, fa il sindacalista. La sua è una lealtà verso il prossimo.
So che non può anticiparci nulla, ma cosa dobbiamo aspettarci da Armando in questa nuova stagione?
Ci saranno degli sviluppi interessanti con la signora Agnese (Antonella Attili). Non sappiamo se coroneranno questo sogno di stare insieme, però sicuramente sarà interessante capire che cosa succederà tra i due. Gli impedimenti tra di loro sono soprattutto di tipo legale: allora, se una donna veniva trovata con un altro uomo, era accettato il delitto d’onore; quindi un marito poteva ammazzarla senza pagarne le conseguenze. Quindi probabilmente è la legge che impedisce a loro di stare insieme, così come la legge impediva a Luciano e Clelia di stare insieme.
Come si è trovato sul set de Il Paradiso? Com’è arrivato lì?
Ho fatto un provino che è andato bene e, di conseguenza, c’è stato uno sviluppo. Con i colleghi mi trovo benissimo perché soprattutto i giovani sono straordinari. Giancarlo Commare, la persona con la quale lavoro più spesso, ha grandi qualità ed è un piacere lavorare con lui. Armando inevitabilmente ha un atteggiamento paterno con Rocco; inoltre, è inutile ripeterlo, con Antonella Attili è bello giocare a questo rimpiattino nel quale ognuno cerca, nel senso positivo del termine, di prevalere sull’altro. È una bella sfida, è come giocare una partita a tennis con una campionessa, per cui ti fa piacere tirare dei colpi che possano metterla un po’ in difficoltà. Si alza molto l’asticella della qualità del lavoro, perché anche lei lo fa spesso con me.
Si nota la sintonia che ha con Antonella.
Sì. L’ho conosciuta l’anno scorso. È per merito delle sue doti se riesco a lavorare così bene. Ci metto anche del mio, ma entrambi lavoriamo bene insieme. La famiglia Amato, con Salvatore, Rocco e Agnese, e di conseguenza il magazzino sono due spaccati della fiction che permettono anche un po’ la comedy. Ci divertiamo parecchio. Sono svolte che tendono ad alleggerire un attimo la tensione delle altre trame, anche argomentando con cose importanti come il 25 aprile, il 1° maggio, il rapporto tra lavoratori e sindacati. C’è sempre un riferimento a una consapevolezza piena di quello che è una condizione di lavoro che nel 1961 era sicuramente di grande vantaggio, perché si poteva trovare un lavoro e mollare un altro nel giro non di pochi giorni, ma di poche ore.
Eravamo in pieno boom economico, esistevano questi prestiti a fondo perduto per la ricostruzione. La guerra non era finita da tanto, ma solo da quindici anni. Ad esempio, Salvatore e Marcello sono diventati dei piccoli imprenditori, hanno rilevato la caffetteria, hanno preso un prestito che stanno restituendo. Il Paradiso racconta quello spaccato d’Italia che in molti vorrebbero provare a rivivere adesso, benché ci siano difficoltà oggettive legate non tanto alla produttività ma alla sanità, in questo momento.
Con tutte queste tematiche, la fiction fa anche servizio pubblico, dando uno spaccato della realtà dell’epoca. Penso che le piaccia questo aspetto…
Assolutamente sì. Il valore aggiunto del Paradiso delle Signore è questo: la possibilità di argomentare non solo l’effimero. Il format parte da un romanzo pregno di significati, per cui non è una leggera trasposizione di un feuilleton francese. Racconta quello che è uno spaccato di vita di quel periodo, che io ho vissuto in prima persona, visto che sono del 1962.
Com’è stato adattarsi sul set con le nuove misure sanitarie per via dell’emergenza Coronavirus?
Sono misure che abbiamo ancora. Devo dire che come produzione Aurora (nelle persone di Giannandrea Pecorelli e Daniele Carnacina) lavora in maniera molto attenta ad evitare che ci possano essere, come dire, delle fughe a livello sanitario. Nel senso che siamo mega controllati, facciamo un tampone ogni quindici giorni, che dà un esito immediato della situazione di salute degli individui. Ogni volta che abbiamo un contatto facciamo un sierologico. Non so quanto la produzione spenda effettivamente per la sicurezza della troupe e degli attori all’interno del centro di produzione Videa.
Armando è molto apprezzato dal pubblico. Se lo aspettava?
Diciamo che, per quanto riguarda il discorso narrativo, bisogna dare merito agli sceneggiatori. Per quello interpretativo, mi prendo il merito perché mi sono costruito un personaggio corretto e in linea rispetto a quello che gli sceneggiatori avevano in mente. Visto che ci sarebbe stata la possibilità di avere un rapporto diretto con una famiglia siciliana, sradicata dalla Trinachia e portata a Milano (dove ancora era molto radicato linguisticamente il dialetto), ho pensato di esagerare e di lavorare non soltanto su una differenza socio-culturale ma anche territoriale e di linguaggio. Ho quindi spinto sul milanese e la cosa ha funzionato. Esiste il contrasto linguistico tra Armando e gli Amato che piace molto. Speravo di avere successo, ma non mi aspettavo di raggiungerlo così su larga scala.
I ritmi del set sono molto frenetici? Immagino che lei, data l’esperienza precedente in CentoVetrine, fosse già abituato…
Sì, con la differenza però che al Paradiso i minuti giornalieri sono 42, mentre a CentoVetrine erano soltanto 21. Il lavoro è raddoppiato completamente: là le scene erano di due minuti, qui da quattro. E capitano dei giorni dove facciamo otto scene. Da questo punto di vista, ci sono personaggi più affaticati dalla mole di lavoro: per esempio, Alessandro Tersigni è un lavoratore indefesso che, veramente, si trova ad avere settimane piene con otto scene al giorno. A noi, per quanto riguarda le linee narrative, ci sono dei momenti più brevi. Io, per esempio, queste ultime settimane ho lavorato tantissimo, con una media di sei-sette scene al giorno, ma probabilmente adesso si allenterà un pochettino. È un “do ut des”. Hai delle giornate in cui lavori tanto, ma compensi la fatica con la rilassatezza del giorno dopo.
Il Paradiso delle Signore è seguitissimo. Secondo lei cosa piace al pubblico della soap?
A quelli della mia età piace ricordare attraverso la fiction che c’è stato un periodo in cui l’Italia era considerata una potenziale terra dove far vivere il vero sogno italiano. È vero che la gente era costretta ad emigrare, perché comunque in Germania, Francia e in Australia c’erano delle possibilità maggiori dopo la guerra. Anche l’Italia però ti permetteva di realizzare dei progetti: qualsiasi persona matura, anche con un lavoro modesto come un impiegato, negli anni ’60 è riuscita a comprarsi la casa. Adesso la situazione è molto più complessa. Il Paradiso ricorda un periodo bello, mentre i giovani vedono un’Italia che non è soltanto tasse, Covid, difficoltà… ma uno Stato dove si ambiva ad ottenere sempre di più!
Io sono del 1962. I colori che noi vediamo nel Paradiso della Signore non erano quelli della Milano di quel periodo, che era grigia, strana. Il lavoro di scenografia bello è proprio questo: sono riusciti ad ottenere attraverso una serie di colori pastello un’atmosfera che non è documentaristica del periodo, ma è identificativa perché riporta alla memoria un periodo che, dal punto di vista realistico, non era così. Ti ricorda un periodo felice della tua vita e quello è straordinario. Secondo me, hanno fatto un lavoro eccellente. La fiction è il risultato di un lavoro di equipe e di squadra.
In collaborazione con Sante Cossentino per MassMedia Comunicazione
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