In attesa di saperne di più sulla riapertura del set di Un posto al sole (sperando ovviamente che si creino le condizioni perché possa avvenire quanto prima), oggi incontriamo per voi uno dei registi storici della soap, Stefano Amatucci.
È l’occasione per parlare con lui dei suoi tanti anni trascorsi a Upas ma anche della sua lunga attività di regista (al momento il suo ultimo film è Caina, del 2017).
Da quando lavori a Un posto al sole come regista?
Ho cominciato a lavorare ad Upas nel 1996, allora si era in piena preparazione di questo prodotto rivoluzionario in Italia, per l’epoca. Facevo l’aiuto regista ma all’americana, la produzione era australiana. Poi nel 1998 lasciai, l’esperienza meravigliosa si era per me esaurita e poco dopo fui chiamato dall’allora produttore creativo Ruggero Miti, che mi offri la regia. E da allora non ho più lasciato Un posto al sole. Facendo anche altre cose nel frattempo. Ma è una famiglia, si sta bene, si lavora bene ancora riesco a divertirmi, cosa fondamentale per me!
Cosa ti diverte della soap e cosa ti risulta più difficile dietro la macchina da presa?
Mi diverte il dover spesso trovare soluzioni non previste, mi diverte il rapporto con gli attori storici. Mi diverte trovare soluzioni inaspettate che un prodotto di lunga durata come questo ti impone. Non mi annoio mai, non c’è tempo per annoiarsi! Mi diverte essere in un meccanismo industriale, perché tale è, e non mi sento affatto un autore, sarei un folle, ma questo non mi frustra e anzi mi piace. Se ho esigenze creative personali, di raccontare altro, lo faccio altrove.
Io so perfettamente che prodotto è Un posto al sole. Lo conosco da 22 anni e conosco anche le sue evoluzioni dal format originario che hanno sicuramente migliorato la qualità tecnica del prodotto; è un prodotto che si è rinnovato e si rinnoverà negli anni. È giusto che sia così. Ripeto, mi piace e cerco di fare il meglio che io possa fare all’interno di questo format.
Lo trovo un prodotto utile, affronta molti temi sociali ed è stato rivoluzionario sia in termini produttivi sia in scrittura: è stato il primo prodotto a mostrare un bacio gay in tv di pomeriggio, ha affrontato tematiche importanti, alcolismo, droga, violenza familiare, sulle donne, potrei fare un elenco infinito di temi toccati e per questo sono fiero di esserne parte del meccanismo.
Come ti trovi a dirigere tua sorella Luisa (interprete di Silvia), a Upas e anche al cinema in Caina?
Mi trovo esattamente come mi trovo con tutti gli altri attori: sul set il nostro rapporto di parentela non esiste e non è retorica la mia, è la verità! Ci sono 100 persone tra troupe, attori e produzione che possono testimoniarlo. Noi veniamo da una famiglia di attori e questa è stata la prima cosa che ho imparato sulla mie pelle; sul lavoro non c’è parentela! Su Caina è stato meraviglioso. Lo avevamo già affrontato insieme in teatro il suo personaggio e Luisa è stata in entrambe le occasioni straordinaria. Basta leggere le critiche.
Cosa ricordi delle tue esperienze in altre fiction e soap, come La Squadra, Sottocasa, Incantesimo e altre?
La Squadra è stata davvero una esperienza indimenticabile! Adrenalina pura! Le altre sono state esperienze che non mi hanno elettrizzato particolarmente, anche perché come tipo di produzioni, chi più chi meno, erano tutte appendici di Upas. Se devo fare soap faccio l’originale. Anzi no! C’è stata un’esperienza bellissima, anche se produttivamente finita male, ma di cui ho un ricordo umano e professionale meraviglioso: Agrodolce. Ecco, se dovessero rifarlo mi ci butterei a pesce! Amo visceralmente la Sicilia.
Quali sono state le tappe fondamentali della tua carriera di regista?
Le tappe da regista non posso essere avulse dalla mia esperienza di portacaffè e assistente (gratis!) sui set, spedire le pellicole a Fiumicino, fare l’assistente di produzione, fare anche l’edizione in un paio di casi. Ero giovane e volevo sapere e conoscere tutto!
Poi l’incontro con Lina Wertmuller mi ha totalmente fatto innamorare e appassionare a questo lavoro, al cinema. Circa dieci anni (non sono pochi) accanto ad una donna straordinaria, intelligente, spiritosa, imprevedibile e artista con la A maiuscola. Oggi Premio Oscar alla carriera! Le devo tutto. Ho “rubato” più io a Lina che Diabolik in tutta la sua storia. E mi piace il termine “rubare”. Oggi tutti vogliono essere insegnati o insegnare a recitare, a girare. Mah! Che noia! Il talento, se c’è, nessuno te lo insegna: il mestiere, nella sua accezione più nobile, si impara sul campo.
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Cosa ti ha regalato il film Caina?
Caina è stata l’esperienza più totalizzante che abbia mai fatto nella mia vita. Ho incontrato il male e il bene, in tutti i sensi. Ma poi quella creatura nata dalla penna intelligente, visionaria e innovativa di Morganti, ci ha regalato soddisfazioni inaspettate, ma anche molti muri, in quel periodo la destra ci ha molto ostacolato! Ma va bene così! Ho avuto critiche meravigliose, non lo dico per vanità: ripeto, cercarle per crederci! Detesto i vanitosi, gli ambiziosi e chi si autoincensa.
Cosa puoi anticipare del tuo prossimo progetto cinematografico?
Dopo Caina, con il produttore Salvatore Suarato e la produttrice bulgara Sevda Shishmanov stiamo lavorando alla realizzazione del mio prossimo film che ho scritto con Gianni Molino. Èun film sull’amore che io considero il più delle volte malamore. Dopo aver approfondito con Caina “l’odio”, mi interessava indagare sull'”amore”, di quello che ti butti nelle vene come la droga e non ne puoi fare a meno! Che ti fa sentire alle stelle e poi ti schianta nel sottosuolo!
Un viaggio nelle varie declinazioni del MALAMMORE: questo è il titolo. Tra un pò comincerà la ricerca difficilissima dei protagonisti giovani, sia in Italia che a Sofia. Un film per me interessante, è una lotta tra Eros e Thanatos. L’ho amato, odiato, amatissimo, odiatissimo: ora non mi resta che girarlo!
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